sabato 5 ottobre 2024

È giunto il miglior periodo per curare le vene varicose



 






Il miglior periodo per iniziare a curare le vene varicose è l’autunno.


Chi è affetto da vene varicose se ne accorge o si ricorda di soffrirne in primavera, quando cominciano i primi caldi che accentuano la sintomatologia dell’insufficienza venosa, le donne abbandonano i pantaloni e indossano abiti più corti e calze più velate e nelle nostre zone cominciano i primi bagni a mare. 





In autunno le temperature atmosferiche basse sono un valido aiuto per chi soffre di vene varicose. La vasocostrizione da freddo fa sì che non si avverta pesantezza agli arti, non si formino edemi marcati, non si sfiocchino nuovi capillari e che si riduca il rischio di complicanze quali tromboflebiti ed ulcere. Inoltre si è disposti ad indossare calze elastiche più che in estate.




Pertanto proprio in tale stagione è opportuno cominciare ad affrontare le cure prima che sopraggiunga il caldo intenso dell’estate.







La terapia della malattia varicosa si fonda non tanto sull’assunzione di farmaci e sulla compressione elastica, ma soprattutto sulla scleroterapia e sulla terapia chirurgica open (stripping, crossectomia, flebectomia, legatura perforanti, CHIVA,  SEPS…)



oppure endovascolare con radiofrequenza o laser. 




Il trattamento di scelta è personalizzato in quanto deriva dalla valutazione accurata non solo del quadro clinico e dello stadio della malattia, ma soprattutto della mappa venosa con lo studio mediante ecocolordoppler dell’emodinamica venosa che consente di valutare i reflussi.



In ogni caso i tempi di trattamento sono lunghi. La scleroterapia, infatti, si effettua con sedute multiple di iniezioni endovenose con intervalli di almeno 1 settimana fra l’una e l’altra; l’approccio chirurgico prevede liste d’attesa e i risultati si stabilizzano a distanza di almeno 1 mese dalla procedura.



Per tale motivo è opportuno curarsi fin dagli inizi dell’autunno in modo da poter poi godere la bella stagione estiva con le gambe “in forma”.




A cura della dott.ssa Rosa Apicella

Specialista in Chirurgia Vascolare 

Specialista in Chirurgia Generale

domenica 25 febbraio 2024

Il successo terapeutico: come massimizzarlo per migliorare la qualità della vita del paziente?

 



A cura della Dott.ssa Rosa Apicella
Specialista in Chirurgia Vascolare
Specialista in Chirurgia Generale 

Il rapporto medico paziente fin dal suo nascere è un processo complesso che si articola sulla trasmissione di informazioni, sulla comprensione reciproca e sulla costruzione di una relazione di fiducia.

Ogni paziente è un individuo unico con esperienze di vita, conoscenze e aspettative diverse, a cui spesso si assommano anche variazioni culturali e linguistiche. Queste differenze possono influenzare la comunicazione, richiedendo al medico di adattare il suo approccio e lo stile della relazione per soddisfare le esigenze specifiche di ciascuno. Emozioni e stress lo rendono spesso vulnerabile ed ansioso; cosicché il medico è chiamato a fornire anche un supporto emotivo.

Le informazioni nella gran parte dei casi possono essere complesse e difficili da comprendere per i pazienti. Pertanto il medico deve essere in grado fornire spiegazioni con rigore scientifico esponendo i concetti in modo chiaro ed accessibile, per evitare di confondere i malati.

In molti casi si instaura un blocco da parte del paziente determinato da “un’asimmetria di potere”, avendo il medico conoscenze e competenze superiori rispetto a lui. Questa disparità può essere attenuata da un approccio empatico e rispettoso nei suoi confronti.

Solo così è possibile coinvolgere attivamente il paziente nel processo decisionale riguardo al suo trattamento, rispettandone preferenze, valori e desideri in modo da ottenere la massima adesione alle cure.

Da quanto su esposto si comprende come il successo terapeutico può essere ottenuto attraverso una combinazione di diversi fattori e azioni coordinate. Ecco alcune strategie chiave per raggiungerlo:

1. **Aderenza terapeutica **: Il paziente deve seguire attentamente le indicazioni del medico, prendendo i farmaci prescritti regolarmente e correttamente, seguendo le terapie raccomandate e adottando uno stile di vita sano come parte del trattamento.


2. **Comunicazione efficace**: È fondamentale una comunicazione chiara ed aperta tra il medico ed il paziente. Questa include informazioni dettagliate sulla sua condizione clinica, sulle opzioni di trattamento disponibili e sui benefici e rischi associati a ciascuna opzione. Tutto ciò può aiutare ad assicurare l'adesione al trattamento grazie anche ad una comprensione accurata delle istruzioni del medico, il quale deve opportunamente rispondere ai quesiti del suo assistito e mantenere un feedback regolare lungo tutto il percorso terapeutico.


3. **Educazione e coinvolgimento attivo del paziente**: Il paziente deve essere coinvolto attivamente nel proprio processo di cura, partecipando alla pianificazione del trattamento, assumendosi la responsabilità della propria salute e collaborando con il team medico per raggiungere gli obiettivi terapeutici.

4. **Supporto sociale e familiare**: Il sostegno emotivo e pratico dei familiari, degli amici e della comunità può svolgere un ruolo significativo nel successo terapeutico e può aiutare il paziente a gestire lo stress, a mantenere la motivazione e a conservare uno stato d'animo positivo durante il trattamento.

 


5. **Monitoraggio e follow-up**: È importante monitorare regolarmente la risposta del paziente alle terapie, anche attraverso la telemedicina, apportarne eventuali aggiustamenti e fornire un follow-up continuo per assicurarsi che le cure stiano producendo i risultati attesi o, in caso contrario, mettere in atto soluzioni e terapie suppletive o alternative.


6. **Stile di vita sano**: Incorporare abitudini di vita salutari, come una dieta equilibrata, l'esercizio regolare, il controllo dello stress e l'evitare sostanze dannose come il fumo e l'alcol, può svolgere un ruolo importante nel migliorare i risultati terapeutici e mantenere la salute a lungo termine.


Integrando queste strategie in modo coordinato e personalizzato per le esigenze specifiche del paziente, è possibile massimizzare le probabilità di successo terapeutico e migliorarne la qualità di vita.

L'esperienza professionale è un pilastro del successo terapeutico. Nel mondo della medicina è un valore inestimabile che va oltre la conoscenza teorica perché nel corso degli anni si affinano le capacità di comunicare e costruire relazioni empatiche con i pazienti in modo da offrire loro un trattamento completo, personalizzato e di alta qualità che promuove il benessere complessivo.

 

 

venerdì 29 aprile 2022

Monitoraggio quotidiano della temperatura del piede nei diabetici a rischio di ulcere.

                                                                                                                     




A cura della Dott.ssa Rosa Apicella
Specialista in Chirurgia Vascolare
Specialista in Chirurgia Generale 


L'incidenza delle complicanze del piede diabetico, in particolare delle ulcrae, è in aumento in tutto il mondo. Più della metà delle persone che si presentano per la cura di una lesione al piede si infetta. A livello globale, questo si traduce in un'amputazione ogni 30 secondi con oltre 2500 arti persi al giorno. Gli studi hanno dimostrato che il tasso di mortalità a 5 anni nei pazienti con diabete a seguito di un'amputazione maggiore è significativo e persino maggiore di molte forme di cancro.

Diverse sono le strategie di prevenzione della malattia del piede diabetico. È indispensabile un’attenta valutazione di una coesistente neuropatia, di una arteriopatia e di una disfunzione dell’appoggio plantare per evitare l’insorgenza di ulcere che possono condurre a gravi danni al piede, tanto da esitare in un’amputazione.

Un altro importante parametro da considerare è l’infiammazione/ infezione che va riconosciuta quanto più precocemente possibile.

Le linee guida internazionali suggeriscono di educare i pazienti a rischio di malattia del piede diabetico a monitorare quotidianamente la temperatura cutanea del piede, giacché l’incremento di essa è indice, appunto, di infiammazione/infezione.

Queste le istruzioni per il monitoraggio della temperatura del piede:






     

      Ogni mattina al risveglio (o poco dopo) controllare la temperatura sotto i piedi.






Utilizzando un termometro digitale ad infrarossi, misurare la temperatura sulle seguenti aree della pianta sia sul piede sinistro che su quello destro:



-        -  alluce

-        -  punta del piede sotto l'alluce

-        -  punta del piede sotto il 3° dito

-        -  punta del piede sotto il 5° dito

-        -  metà del piede

-        - tallone




Registrare tutte le temperature su questo diario.

Se la differenza tra due siti corrispondenti sui piedi sinistro e destro è superiore a 2,5 °C, consultare il proprio medico di fiducia.

In attesa di un appuntamento, non rimanere a lungo in piedi e non riprendere il normale livello di attività fisica finché la differenza di temperatura non si riduce ad un valore inferiore a 2,5 °C. 

Una temperatura non rilevata dal termometro digitale ed indicata come bassa è indice di un deficit di flusso arterioso. Pertanto impone un’urgente valutazione specialistica chirurgica vascolare.


Riferimento bibliografici

IWGDF - Guideline on interventions to enhance healing of foot ulcers in persons with diabetes - 2021

David G Armstrong et al. - Dermal Thermometry for the High-Risk Diabetic Foot - Physical Therapy . Volume 77 . Number 2 . February 1997

R. Gary Sibbald et al. - Skin Thermometry: An Underutilized Cost-effective Tool for Routine Wound Care Practice and Patient High-Risk Diabetic Foot Self-monitoring- Advances in Skin and WoundCare - January 2015

giovedì 3 febbraio 2022

Iperomocisteinemia – Un fattore di rischio cardiovascolare troppo spesso trascurato


 

A cura della Dott.ssa Rosa Apicella
Specialista in Chirurgia Vascolare

Negli ultimi 10 anni l’iperomocisteinemia (HHCys) è stata considerata un biomarcatore di malattie cardiovascolari, nonché un fattore di rischio per molte altre patologie, tra cui l'Alzheimer e altre demenze.

L’aumento in circolo dell’omocisteina è determinato da cause genetiche, da fattori alimentari, dallo stile di vita, da patologie renali e da altre condizioni patologiche.

Una delle alterazioni genetiche che si riscontra più frequentemente è la mutazione MTHFR – C677T presente sul gene che codifica per l'enzima metabolizzante dei folati MTHFR. È stato stimato che il 10% della popolazione mondiale sia omozigote (genotipo TT) per il comune polimorfismo C677T, ma la frequenza può salire fino al 25% nel sud Italia.

Oltre alle cause genetiche, molte altre sono state identificate come responsabili dell'HHCys. Esse dipendono principalmente dalle abitudini e dallo stile di vita. Ad esempio, le carenze nutrizionali di alcuni dei cofattori coinvolti nel metabolismo dell'HCys, come l'acido folico, la vitamina B6, la vitamina B12 e la betaina, sono senza dubbio responsabili dello sviluppo di HHCys.

Inoltre, i livelli di HCys tendono ad aumentare con l'età sia nei maschi che nelle femmine e possono variare in base alle diverse abitudini, come il fumo di sigaretta, il consumo di alcol e lo stile di vita sedentario.

Numerosi studi hanno dimostrato come l’aumento in circolo dell’omocisteina favorisca l’insorgenza delle malattie cardiovascolari.

L'HHCys persistente, infatti, favorisce la formazione di placche aterosclerotiche, eventi aterotrombotici

attraverso la disfunzione endoteliale, l'aumento dell'infiammazione, una riduzione della vasodilatazione, l’attivazione, l’adesione e l’aggregazione piastrinica, quindi il rischio dell’insorgenza di trombosi arteriosa e venosa.

Per questi motivi, oltre ai tradizionali fattori di rischio, sia l'Organizzazione Mondiale della Sanità

(OMS) che il Ministero della Salute hanno deciso di considerare l'HHCys, un forte fattore di rischio delle malattie cardiovascolari ma che viene troppo spesso trascurato.

L’ISS (Istituto Superiore di Sanità) raccomanda l'esame per il dosaggio dell'omocisteina nel sangue nei seguenti casi:

·    quando si sospetti una possibile carenza di vitamina B12 o di folati (persone malnutrite; anziani a causa di un ridotto assorbimento intestinale; alcolismo e abuso di droghe)

·    in seguito ad un infarto del miocardio, a un ictus o a una trombosi venosa in assenza di fattori di rischio tradizionali (quali il fumo, l'ipertensione arteriosa e l'obesità)

·    per valutare il rischio cardiovascolare associato all'età, all'abitudine al fumo, alla pressione arteriosa, alla colesterolemia totale e HDL, al diabete e al sesso del soggetto

·    quando si sospetti la presenza di una malattia metabolica rara (omocistinuria)

Il dosaggio dell’omocisteina permette di rilevare la carenza in persone con un deficit iniziale, prima che si verifichino manifestazioni evidenti e più gravi.

L'iperomocisteinemia influenza in modo preponderante il sistema cardiovascolare, come è stato evidenziato. Ma anche molte altre patologie sono associate ad iperomocisteinemia per la loro correlazione funzionale con il sistema cardiovascolare.


L'HHCys attualmente non è da considerarsi come un
marker diagnostico per le suddette patologie, ma va ricercata con l’intento di utilizzarla come un possibile bersaglio terapeutico.

È raccomandato un livello di omocisteina plasmatica target < 10 micromol/l.

È ormai accertato che una dieta carente di acido folico, vitamina B6, vitamina B12 e betaina è responsabile dello sviluppo di HHCys.

Di conseguenza, poter compensare i deficit di queste importanti componenti deve essere considerato di elevata rilevanza terapeutica nella pratica clinica.


Pertanto ai pazienti nei quali risultano elevati valori di HCys vanno non solo consigliati un’adeguata dieta ed un sano stile di vita.

Ciò significa che la dieta deve essere caratterizzata da adeguato apporto di folati, vitamine del gruppo B, in particolare Vit. B6 e Vit. B12 e betaina, quindi secondo quanto indicato da una corretta dieta mediterranea.

Uno stile di vita è sano se rientrano nelle abitudini individuali

-   -  praticare attività fisica ((passeggiate a piedi, in bicicletta, corsa, etc., possibilmente 30 minuti tutti i giorni oppure 45 minuti 3 volte a settimana)

-       -  astenersi dal fumo

-        - astenersi dall’alcool

-       -  assumere non oltre 2-3 tazzine al giorno di caffè

Ci sono particolari situazioni in cui il nostro fabbisogno vitaminico non viene soddisfatto dalla dieta, quindi bisogna provvedere ad una integrazione.

Sulla base di vari modelli di calcolo, la riduzione delle elevate concentrazioni plasmatiche di omocisteina può teoricamente prevenire fino al 25% degli eventi cardiovascolari. L'integrazione è poco costosa, potenzialmente efficace e priva di effetti avversi e, quindi, ha un rapporto rischio/beneficio eccezionalmente favorevole.

 

domenica 12 dicembre 2021

L'obesità favorisce le malattie venose?




Dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità emerge che nel 2020 il 10,4% della popolazione italiana è risultata obesa e 1/3 dei bambini sotto gli 8 anni di età è in sovrappeso. 

In Italia sono in sovrappeso 22 milioni di adulti con oltre 6 milioni di obesi. L'obesità contribuisce negativamente su numerose malattie degenerative croniche fra cui le malattie venose. Questa correlazione è legata a tre fattori fondamentali:




nell’obesità

-   - si instaura un progressivo aumento dell’insulina in combinazione con uno stato proinfiammatorio sistemico che è sostenuto anche da un’errata alimentazione, uno scorretto stile di vita, una scarsa tolleranza allo stress

-            -  si attiva la cascata coagulativa che favorisce il tromboembolismo venoso;

-      - si produce un aumento della pressione intra-addominale che provoca una compressione sulle vene iliache con incremento della pressione venosa agli arti e conseguente sfiancamento della parete delle vene e incontinenza delle loro valvole. Il sistema valvolare normalmente impedisce al sangue di refluire verso il basso.  Allorquando i lembi valvolari non combaciano, il sangue non riesce a progredire verso il cuore e ritorna verso il basso, determinando un ulteriore incremento della pressione e, quindi, una progressiva dilatazione delle vene che si allungano e diventano tortuose (vene varicose).

A volte l'obesità può mascherare le vene varicose perché il grasso in eccesso negli arti le nasconde. Inoltre, poiché l'obesità grave produce un aumento della pressione anche nelle vene profonde degli arti, compaiono delle ulcere cutanee che spesso richiedono molti mesi per guarire.


Per questo motivo, quando si avvertono sintomi come gambe pesanti, gambe doloranti, gonfiore o alterazioni della pelle, nonché vene dilatate, è consigliabile rivolgersi ad uno specialista per una precisa diagnosi e la scelta della più adeguata strategia terapeutica.

 

Come minimizzare i rischi delle vene varicose?

Dieta, esercizio fisico e cambiamenti nello stile di vita sono chiavi importanti per perdere peso. L'alimentazione umana si è spostata da cibi "naturali" benefici a cibi trasformati, da grassi "buoni" a grassi "cattivi" e da una quota più bassa a una più alta di carboidrati (per lo più raffinati). I fornitori di modelli nutrizionali finalizzati al guadagno (industrie) orientano la qualità e la quantità dell'assunzione quotidiana di cibo: da un lato i media e le industrie tendono a diffondere abitudini nutrizionali dannose (ad esempio, dipendenza da zucchero gratificante per il cervello), consumo di cibi preconfezionati ricchi di additivi e uso di costosi prodotti della tecnologia, dall’altro, purtroppo, questi stimoli incontrano un basso livello di critica da parte dei pazienti e degli operatori sanitari stessi.

Allo stesso modo il sedentarismo, si sta diffondendo sempre più tra le nuove generazioni.

Lo stress cronico associato all'aumento dei comfort e della facilità di vita ha ridotto significativamente le difese dell’organismo umano nei processi di sviluppo delle malattie.

 

Qual è la strategia terapeutica?

Un piano di trattamento della malattia venosa cronica non può, quindi, prescindere anche dal trattamento dell’obesità. Le risorse terapeutiche includono miglioramenti nella dieta



e aumento dell'esercizio fisico, ma anche tutte le altre opzioni terapeutiche di carattere riabilitativo, psicologico, farmacologico e chirurgico bariatrico. 

La cura delle ulcere, la terapia compressiva, la scleroterapia, il trattamento delle varici endovascolare (ablazione in radiofrequenza o laser ) e/o chirurgico “open” ( stripping safenico, flebectomie, CHIVA) traggono risultati più soddisfacenti quando si associano al calo ponderale.


A cura della dott.ssa Rosa Apicella

Specialista in Chirurgia Vascolare 

Specialista in Chirurgia Generale



 

 



martedì 4 agosto 2020

NUOVI FARMACI ANTI-COLESTEROLO: a chi e quali vantaggi?


A cura della dott.ssa Maria Vincenza Polito, specialista in Cardiologia


Elevati livelli di colesterolo nel sangue (ipercolesterolemia), specialmente il colesterolo cattivo (C-LDL), si associano ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari.

La terapia d’elezione per il trattamento dell’ipercolesterolemia è rappresentato dalle statine, farmaci che da decenni hanno dimostrato il loro beneficio nella riduzione dei livelli di colesterolo cattivo e, conseguentemente, hanno contribuito alla riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolare.

Queste, eventualmente associate ad ezetimibe (farmaco che inibisce l’assorbimento intestinale di colesterolo), devono essere sempre abbinate ad un corretto stile di vita, ad una regolare attività fisica, ad una dieta sana e bilanciata con particolare riguardo al consumo di certe categorie di alimenti (verdura, frutta, acidi grassi polinsaturi, etc).

Tuttavia, nonostante la loro documentata e ben provata efficacia terapeutica, in taluni pazienti le statine sono insufficienti o mal tollerate. Sempre più spesso con questi farmaci è difficile raggiungere valori ottimali (target) di C-LDL, specialmente nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare.

La teoria “lower is better”, ossia “più è basso, meglio è”, è ormai consolidata. Quanto più si riduce il C-LDL, tanto migliore sarà la prognosi, in termini di infarto, ictus, arteriopatia periferica, mortalità cardiovascolare.

Ma staremo esagerando? E’ davvero così importante rincorrere valori molto bassi del “demonio” colesterolo? I risultati degli ultimi studi dimostrano che è proprio così e che bersagliare il C-LDL con le armi attualmente a disposizione è da perseguire con tenacia.

Tra le novità terapeutiche, in sostituzione o in aggiunta alle statine, ci sono gli anticorpi monoclonali, inibitori di PCSK9, capaci di smaltire l’eccesso di colesterolo circolante.

Questi nuovi farmaci sono risultati drammaticamente efficaci. Riducono infatti i livelli di C-LDL di almeno il 50 - 70%, si somministrano per iniezione sottocutanea (in genere ogni 2 settimane o una volta al mese) e hanno un buon profilo di tollerabilità. Rarissimi infatti sono gli eventi avversi.

Altresì, essi sono indicati in particolare nei soggetti con colesterolo alto ad elevato rischio cardiovascolare, nei quali il trattamento con le statine è mal tollerato o non riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Queste terapie vanno indicate e prescritte dallo specialista sulla base delle esigenze del paziente; certamente averle a disposizione aumenta gli strumenti terapeutici con i quali lo specialista può sempre più personalizzare la terapia del singolo paziente.

 


sabato 1 agosto 2020

Estate e vene varicose - Un decalogo per affrontare la stagione calda




Con la stagione estiva si accentuano i fastidi legati alle vene varicose per l’azione vasodilatatrice esercitata dal caldo.

Questi i consigli utili per chi soffre di varici per poter affrontare con serenità la stagione del sole, del caldo, delle vacanze, del divertimento, senza rinunciare ad andare al mare:

-            -  dismettere le calze elastiche quando non più sopportate previa consultazione con lo specialista di fiducia

-         - al mare evitare le ore più calde

-         - non esporsi al sole per lungo tempo

-         - mantenere le gambe al fresco, bagnandole frequentemente, e nuotare

          - passeggiare sul bagnasciuga ed  in acqua per sfruttare i benefici derivanti dalla pompa muscolare, dal massaggio plantare e dall’idromassaggio



-         - non coprire le gambe con asciugamani

-         - non stendersi sulla sabbia cocente né su ciottoli o massi roventi

-        - usare scarpe non troppo basse né troppo alte, possibilmente aperte e che consentano la flessione plantare


-         - seguire una dieta equilibrata, privilegiando alimenti ricchi di sali minerali come frutta e verdura, ed ingerire abbondante acqua   


                     

-         - fare attività fisica, in modo particolare passeggiare con scarpe comode


             Dott.ssa Rosa Apicella

      Specialista in Chirurgia Vascolare

     Specialista in Chirurgia Generale 




È giunto il miglior periodo per curare le vene varicose

  Il miglior periodo per iniziare a curare le vene varicose è l’autunno. Chi è affetto da vene varicose se ne accorge o si ricorda di soffri...